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      Vi atterrirò con due sole parole: Siamo poveri, cara Amica. Queste parole però io dico all'orecchio dell'amicizia discreta; e in casa vostra e nel vostro paese non le ascoltino che l'orecchio vostro e quello di Pirro. Come dunque insistete nel venirvi io a trovare? Io, ve l'ho già detto, son quì impennato dalle fatiche e dalla necessità della mia continua presenza: presenza e fatiche, e, diciamolo ancora, cordogli, che dureranno più anni, e poi?... E poi lo sa Iddio cosa sarà. Chi sa se potrò trovare i momenti per visitar Ciro nella estate futura! Quando vi diceva di avere io provveduto alla tutela di Ciro, intesi pel caso della mia morte. Ho fatto testamento e ho nominato i tutori. Ma, finché vivo, il tutore, il protettore, la guida del mio figlio son io. Io solo gli mostrerò dove si cela il serpe che uccide: io solo preserverò questa tenera pianticella dalle corruzioni del secolo.
      Ecco la mia vita. Mi alzo alle sei antimeriadiane: fatico al tavolino (per affari) fino alle 10. Allora esco, e porto meco una lista de' luoghi dove ho da correre, spesso più volte, fino alle 2. Torno a pranzo, e poi fra le carte, e poi verso sera termino qualche interrotto giro della mattina. A mezz'ora di notte al travaglio, alle 11 cena: a mezzanotte a letto per vegliar quasi sempre fino alle sei del giorno seguente. E non ho alcuno che mi serva o che mi porti in giro un biglietto quando son malato o diluvia. Ma se un giorno Ciro sarà istruito, onorato e cortese, mi considererò pagato di tutto, anzi in debito verso la provvidenza.


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Lettere a Cencia
Volume Primo e Secondo
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 246

   





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