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      Quando io vi ho assicurata che mi mancava sino il tempo per dormire e mangiare: quando vi ho affermato in parola d'onore che le fatiche e i patimenti e i miei tanti pensieri mi lasciavano spesso privo di forze per sostenermi in piedi: quando finalmente è un fatto certo che io dovevo sino trascurare di dar le mie nove a Ciro e a chi lo aveva in custodia, cosa potrei dire adesso di più per chiamare indulgenza su quel mio reato? Voi peraltro, Signora mia bella, giungeste a Morrovalle il 13 luglio, e mi dovevate scrivere almeno un eccoci quà, e se non pure a me potevate scriverlo a vostro suocero, il quale trovavasi mondo del mio peccato del 1837. Egli poi avrebbe comunicate a me quelle due vostre parole, e le cose avrebbero camminato alla meglio. Ma diamine! di tre persone niuna piglia la penna per dire a due poveri suoceri: siam giunti, stiam bene e buona notte! E lasciamo star parentela e amicizia: rifugiamoci almeno nelle regole della etichetta. Come! etichetta? Sissignora, etichetta: in difetto di moventi migliori anch'essa è buona a qualche cosa, e bene o male sostiene essa pure i vincoli sociali.
      Basta, mettiamo da parte tutte queste ciarle, e come voi dite bene, non se ne parli più. Un articolo però ancora rimane in sospeso, ed è la vostra salute. Perché non mi avete voi detto come state? Partiste ancora acciaccatella. Vi siete rimessa? La tosse vi ha essa lasciata in pace? Ecco un punto essenziale su cui richiamo la vostra attenzione e le vostre parole.
      Godo assai nell'udire le vostre lusinghe sul sollecito ristabilimento del Signor Giuseppe.


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Lettere a Cencia
Volume Primo e Secondo
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 246

   





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