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      Ma la massa è carne da frusta, e lode a chi avesse libero il braccio! Le mie satire stan tutte all'ombra, ne' tirati della mia scrivania. Al solo vedere nella vostra lettera enunciato il vocabolo baffi io già prevedeva che sarebbe stato seguito dallo altro vocabolo ritratto. È vero, per un momento io assunsi mustacchi, e così a Milano mi ritrassero. Prima di tutto vi do carta bianca per giudicarmi caduto tra quello e questo tempo nel general vizio umano della contraddizione. Però, o cara amica, in 13 anni, quanti ne corsero dal 1827 a questo attuale anno di grazia, molte e molte cose di più ho viste ed apprese. Eppoi, non concedete voi nulla al querulo, inesorabile ed acre di Orazio ne' poveri uomini che indurano il cuore invecchiando? Io invecchio. Avete torto di nominare individui in questa generale quistione di riprovazione e d'antipatia. Io non dirò mai: ogni baffo copre un labbro abbietto; ogni sigaro associa il puzzo del tabacco bruciato al fumo di un vano cervello. Se io non nomino alcuno, tacete anche voi, e non mi gettate alle prese con Pirro, che io amo stimo e rispetto. Del resto mettete poi baffi anche alla buona memoria di Gaspare, io vi rimarrò sempre indifferentissimo. Con Ciro forse non ci riuscireste, e se ci riusciste mi ferireste il cuore. Voi non conoscete la classe de' barbuti romani.
      Il mio ritratto peloso non merita di presiedere, come voi dite, alla società del vostro camminetto. Potrebbe invece servire a questo di alimento, ed ad accrescer fumo con quello de' tizzoni e de' sigari per profumare l'ambiente che voi respirate conversando, lavorando, e forse ridendo a ragione delle mie satirische follie, degne di un ispido vecchio e riottoso.


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Lettere a Cencia
Volume Primo e Secondo
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 246

   





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