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      Oggi la è giornata di mezzo calibro, e cerco la penna, che neppure so dove stia. Il più bel mestiere è quello del poltrone: l'ho imparato e non me ne dimentico più. Bocca chiusa, occhi chiusi, orecchie chiuse, e mani in tasca ove stan calde, e gambe insaccate entro scarperoni più pelosi nell'interno che non le braccia d'Esaù, a cui neppur valsero contro la onnipotenza di poche lenti civaie, laddove il pel mio mi dà a vitalizio la primogenitura di tutto il genere umano, il quale, salvo qualche scarsa eccezione, ho preso a tenerlo dove ho detto di tenere le mani. E così passeranno questi altri pochi o anni o mesi o giorni che ci rimangono a sbadigliare fra la luce del sole e quella della lanterna.
      Benché, secondo l'almanacco, non sia più tempo di auguri prendetevene pure, un contracambio de' vostri, quanti e quali volete, ché tanti ve ne do quanti n'ho e come gli ho, e valgan poi quel che ponno valere, non per difetto di sincerità nel donante, ma sì per la inefficacia di queste chiacchiere in mutare gli eventi, che, fausti o sinistri, stan lì ad aspettarci saldi ed immobili come il Monte Corno o il picco di Teneriffa.
      Della mia lettera del 29 luglio altro non so dire sennon che la scrissi e la mandai a Filottrano. Voi mi dicevate il 6 giugno: dimani partiremo per Filottrano, dove resteremo fin presso alla festa del nostro protettore S. Bartolomeo. Mi scrivete poi il 29 Dicembre: la lettera che dite avermi diretta a Filottrano il 29 dello scorso luglio non mi é giunta affatto. Io tornai a Morro il 23 di quel mese.


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Lettere a Cencia
Volume Primo e Secondo
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 246

   





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