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      Comprendo che la lettera del R.[everen]do P.[adr]e potrebbe andare anche direttam[ent]e al destino, ma forse gioverebbe meglio il presentarla privatam[ent]e, tanto più che in questo caso riuscirebbe vano a chi la ricevesse il dissimulare di averla ricevuta, siccome spesso accade allorché si voglia bellam[ent]e scansarsi dall'accogliere con favore una dimanda.
      Non vi dissimulo purtuttavia la mia poca speranza di riuscire in simile impegno, stante anche il difetto in me di rapporti e di pratiche molte, necessarie in simili faccende, giacché la mia vita sempre ritirata ed aliena dal mostrarmi nel mondo e mescermi fra gli uomini mi ha reso come straniero ai miei concittadini e ignoto a' miei contemporanei. Ma chi avrebbe saputo prevedere che un giorno avrei avuto bisogno del comune modo di vivere? E, prevedendolo ancora, si sarebbe la mia natura prestata a una educazione opposta non solo alla sua indole ma superiore alle sue forze? Mi trovo io adesso quasi isolato. Ciò non mi darebbe il minimo rammarico perché corrispondente a quanto ho sempre cercato; ma guai a chi cade senza la prossimità di un braccio che lo rialzi! Adesso poi è tardi per cominciare una nuova carriera. Il temperamento indurato dagli anni e dall'uso, la mente abbattuta dalle sventure, il cuore inasprito dalle contraddizioni, e il tempo angusto già di troppo per le sole indispensabili cure del mio stato, sono altrettanti ostacoli sino al pensiere d'intraprenderla.
      E in qual modo potrei mostrarvi io le tracce (come voi dite) per rendermi attiva la vostra amicizia?


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Lettere a Cencia
Volume Primo e Secondo
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 246