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      È vero che parlavate di un tale anno climaterico con assai sangue freddo; ma simili idee, amica mia, non sono fiori di malva. - La mia capoccia va meglio, e n'è uscita fuori una romanzaccia, degna della musica de' gatti incimurriti.
     
      La Carità (vedi che titoli!)
      Ah non vantate o prodighiDi sterili parole,
      Quell'apparir beneficiDove più splenda il sole;
      Non il gettar per gloriaDi ree lusinghe e vane
      Un vile argento, un paneSul letto del dolor.
     
      La carità, che ingenuaAbita in cor non guasto,
      Abborre dagli strepiti,
      Sdegna le pompe e il fasto;
      E pari a casta vergineAl guardo altrui si cela,
      Né in sua bellezza anelaA effimero splendor.
     
      Ah di fortuna il giubiloE il superbir del sangue
      Al muto aspetto estinguasiD'un poverel che langue:
      Felici se una lagrimaVi turba il cuore in festa,
      E il senso in voi ridestaDell'egra umanità.
     
      Allora, allor de' miseriNel consolato petto
      Susciterete un palpitoDi non mentito affetto;
      E quanto men fra gli uominiScenda orgogliosa e grave
      Sarà più a Dio soaveLa Vostra carità.
     
      Vi parrà questa romanza stravagante e bizzarra. E così è. Ma se togliete dalla mente de' poeti la stravaganza e la bizzarria, non vi resta più altro. In questa romanza, per difenderla pure un tantino, non vi sono sfoghi d'amore né altri vaniloquii di un'anima che non intenda se stessa. Io, al postutto, non so se la carità possa associarsi alla musica, e se i maestri di cappella avranno note caritatevoli da farne una salsa alla mia scipita vivanda.
      E quì vi auguro di cuore pace, sanità e alegrezza come i ciechi rapsodisti di piazza.


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Lettere a Cencia
Volume Primo e Secondo
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 246

   





Carità Dio Vostra