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      Ma se le produzioni di quest'arte, seguendo l'indole diversa dei secoli e delle civilizzazioni, hanno assunte facce differenti, perché non potrò io distribuirle in tribú differenti? e se quelle della seconda tribú hanno in sé qualche cosa che piú intimamente esprime l'indole della presente civilizzazione europea, dovrò io rigettarle per questo solo che non hanno volto simile al volto della prima tribú?
      Di mano in mano che le nazioni europee si riscuotevano dal sonno e dall'avvilimento, di che le aveva tutte ingombrate la irruzione de' barbari dopo la caduta dell'impero romano, poeti qua e lá emergevano a ringentilirle. Compagna volontaria del pensiero e figlia ardente delle passioni, l'arte della poesia, come la fenice, era risuscitata di per sé in Europa, e di per sé anche sarebbe giunta al colmo della perfezione. I miracoli di Dio, le angosce e le fortune dell'amore, la gioia de' conviti, le acerbe ire, gli splendidi fatti de' cavalieri muovevano la potenza poetica nell'anima de' trovatori. E i trovatori, né da Pindaro instruiti né da Orazio, correndo all'arpa prorompevano in canti spontanei ed intimavano all'anima del popolo il sentimento del bello, gran tempo ancora innanzi che l'invenzione della stampa e i fuggitivi di Costantinopoli profondessero da per tutto i poemi de' greci e de' latini. Avviata cosí nelle nazioni d'Europa la tendenza poetica, crebbe ne' poeti il desiderio di lusingarla piú degnamente. Però industriaronsi per mille maniere di trovare soccorsi; e giovandosi della occasione, si volsero anche allo studio delle poesie antiche, in prima come ad un santuario misterioso accessibile ad essi soli, poi come ad una sorgente pubblica di fantasie, a cui tutti i lettori potevano attignere.


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Scritti critici e letterari
di Giovanni Berchet
Laterza Bari
1912 pagine 282

   





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