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      D'altronde lo studio dell'uomo e di tutte le sue relazioni col passato e col futuro non era ancora, a quel che pare, lo studio favorito per essi. La strettezza de' vincoli che congiungono sempre le lettere alle opinioni politiche, religiose e morali, a tutta insomma la civilizzazione dei popoli, era tuttavia un mistero in Italia. E però eglino consideravano i libri de' poeti e de' prosatori piú come semplici azioni individuali che come espressioni della qualitá de' secoli, piú come un lusso lodevole delle nazioni che come un bisogno perpetuo dell'uomo sociale; bisogno che rinascerebbe pur sempre di per sé, se anche venissero meno ad un tratto tutti gli esempi della preesistenza di esso ne' popoli antichi. Quegli scritori, partendo sempre da princípi derivati da una critica o municipale o provinciale o tutto al piú nazionale, credettero di poter sottoporre ad esame l'Europa intera. Ed eglino pure, a simiglianza de' loro antenati, andarono rintracciando il bello quasi sempre negli accidenti esteriori della spiegazione de' concetti e della dizione, fermandosi, per cosí dire, sul limitare di un edificio a dar giudizio intero di tutto il complesso della sua bontá.
      Non possiamo negare che in fatto di letterature moderne straniere il Cesarotti vide talvolta piú addentro d'ogni altro suo contemporaneo italiano. Nato piú per esser filosofo che per esser poeta e libero di molti pregiudizi, il Cesarotti avrebbe potuto riformare assai tra di noi l'arte critica, se si fosse dato a studi piú profondi.


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Scritti critici e letterari
di Giovanni Berchet
Laterza Bari
1912 pagine 282

   





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