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      Il commercio librario fu sempre angustiato in Italia dalle tante divisioni territoriali, e da questo: che in tutta l'Italia, comparativamente alla numerosa popolazione della penisola, non fu mai abbondanza di lettori, massime paganti. Quindi i letterati, non potendo ritrarre sufficienti ricompense dagli stampatori, si rivolsero quasi sempre a' principi ed a' governi.
      Stretti da altri doveri piú sacri, i governi non poterono sempre contentar tutti i letterati. Però, crescendo la frotta de' concorrenti, non bastava la pastura, e i begli ingegni bisognava spesso che se la strappassero l'un l'altro di bocca. In alcuni di essi era malvagitá vera, in altri debolezza, in altri la pazienza si lasciava stancare dalle provocazioni ripetute. Chi pigliava l'armi per assalire, chi per respingere gli assalitori. E le armi erano ingiurie, calunnie, contumelie, accuse pubbliche, delazioni segrete, propalazioni d'infamie domestiche, rinfacciamenti di fellonie, ecc. ecc. ecc.
      Gli spettatori maligni ridevano, la gente dabbene fremeva. E la maggior parte del popolo, confondendo le lettere co' letterati, chiamava "infami" quelle, perché sovente vedeva infami questi. La sapienza non ci guadagnava mai nulla, l'arte critica non progrediva d'un passo, perché la sapienza e la critica nulla hanno di comune colle villane animositá individuali. Ogni generazione di letterati biasimava queste pessime arti nella generazione precedente, poi correva ad imitarla coi fatti.
      Cosí la storia delle contese letterarie degl'italiani non presenta altro che una miserabile successione di guerre personali da far ribrezzo ad ogni uomo che senta altamente in suo cuore la dignitá e l'importanza delle lettere.


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Scritti critici e letterari
di Giovanni Berchet
Laterza Bari
1912 pagine 282

   





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