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      Alcuni storici della letteratura si congratulano col secolo decimoquinto, e fanno festa perché verso la fine di esso la Spagna cominciò a coltivare la poesia pastorale. Noi rispettiamo i gusti di chicchessia e, insieme agli altrui, un pochetto anche i nostri. E però ci giova di non perderci in ammirazione dietro a' primordi di un genere di poesia, al quale, con buona pace de' maestri di lettere, non portiamo troppa benevolenza. Se fosse vera la ipotesi pittagorica della metempsicosi, e se, per un capriccio matto di quella fortuna che si compiace proprio negli estremi contrari, a noi toccasse di dovere un dí rinascere su qualche trono della terra e coll'animo tutto tutto inclinato al dispotismo; allora, tornandoci vani i tentativi per ispegnere affatto le lettere, vorremmo industriarci almeno di porre in onore fra' nostri schiavi quel tanto solo di esse che piú servisse ad addormentarli. E allora, allora sí, la poesia pastorale verrebbe da noi protetta e promossa, siccome quella che, per la sua immensa distanza dal vero della vita e per la sua languida efficacia morale, ci farebbe meno paura d'ogni altra. Intanto, giacché, fuor d'ipotesi, siamo cittadini privati, non amiamo, né per noi né pel nostro prossimo, la diffusione de' narcotici.
      E che v'ha dunque ne' versi castigliani del secolo decimoquinto, che possa rimunerare in qualche maniera la cortesia di chi profonde ora il tempo nel leggerli? Primieramente vale anche per quest'epoca ciò che abbiamo detto nell'articolo primo intorno a' romanzi epici d'autori sconosciuti di nome, giacché anche in quest'epoca si proseguí a scriverne.


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Scritti critici e letterari
di Giovanni Berchet
Laterza Bari
1912 pagine 282

   





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