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      Quelli di essi che, spogliandosi dalla superstizione e dalle prevenzioni del loro ceto, giungevano al socialismo, non lo vedevano che sotto il suo aspetto materiale di un movimento destinato a migliorare la loro sorte. E naturalmente questo miglioramento attendevano dai capi, i quali passavano indifferentemente dallo stato di idoli allo stato di traditori secondo i momenti e le occasioni senza merito o demerito loro. È indiscutibile che il socialismo li migliorasse sotto tutti gli aspetti; e oso dire che la mia prima spinta a favorire questo movimento, mi venne dalla grande pietà che la miseria dei miseri m'ispirava, e dall'esperienza del beneficio che il movimento recava a essi».
      Malatesta stesso non vedeva il proletariato attraverso gli occhiali rosa di Kropotkin e Luigi Fabbri scriveva in un suo articolo, riferendosi al periodo insurrezionale del dopo-guerra: «Troppa gente, fra la povera gente, troppi lavoratori credevano sul serio che stesse per venire il momento di non lavorare o di far lavorare unicamente i signori». Chiunque ripensi alla storia del movimento operaio vedrà prevalervi un'immaturità morale spiegabilissima, ma tale da imporre la più evidente smentita ai ditirambici esaltatori delle masse.
      Il giochetto di chiamare «proletariato» i nuclei di avanguardia e le élite operaie è un giochetto da mettere in soffitta. Le allegoriche demagogie lusingano la folla, ma le nascondono delle verità essenziali per l'emancipazione reale. Una «civiltà operaia», una «società proletaria», una «dittatura del proletariato»: ecco delle formule che dovrebbero sparire.


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Umanesimo e anarchismo
di Camillo Berneri
pagine 88

   





Kropotkin Luigi Fabbri