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      per me si va tra la perduta gente;
      giustizia mosse il mio alto Fattore etc. .
      E il doloroso, il disperato, può meglio sentirsi, che in que’ tre versi?
      Diverse lingue, orribili favelle,
      parole di dolore, accenti d’ira,
      voci alte e fioche e suon di man con elle.
      Questo sì, è un verso divino. Lo stesso dico del quadro in cui dipigne l’arsenal di Venezia sicché proprio ti trovi là dentro, e delle apostrofi contro pisani e genovesi ecc. E di tali interi ternari ve n’ha sino ad un centinaio, se ben gli ho contati, tra cinque mille, che formano tutto il poema. I versi poi soli, or sentenziosi, or dilicati, or piagnenti, or magnifici e senza difetto, ardisco dire, che vanno a mille...
      — Dunque, restano tredici mille difettosi e cattivi, — riprese allor Giovenale con impazienza, — e quattro mille novecento terzine all’incirca restano da soffrirsi. Il bel poema, invero, e la dilettevole poesia, ch’è questa! Non è egli lo stile quel punto, in poesia, principale e decisivo, per cui perirono tanti poemi e per cui non periranno alcuni pochi giammai? La dicitura, la versificazione, la poesia verbale in somma, cioè la poesia della poesia è pur il suggello della immortalità per te, per Omero, per Pindaro, per Orazio, e per me stesso, malgrado i miei difetti, onde siam la delizia di tutti i secoli? Che può dunque pretender Dante, se manca in questo nelle tredici parti e se riesce in una soltanto? Io sfido il poeta scitico e geta più barbaro, che mai cantasse in riva de’ mari glaciali, a parlar più basso, più duro, più falso, più freddo che non fa Dante in tanti luoghi.


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Lettere Virgiliane - Lettere Inglesi e Mia Vita Letteraria
di Saverio Bettinelli
1758 pagine 205

   





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