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      Io, che vedute avea con gli occhi miei propri le barbariche spoglie e gli schiavi feroci che Cesare a Roma trasse dalle Gallie soggiogate, stava mutolo e istupidito a così nuovo portento. Quand’ecco a passar quivi presso una splendente matrona(6), a cui tutti fer segno d’ossequio, siccome a Vesta o alla Gran Madre farebbesi, e l’accerchiarono a gara, e in lingua celtica pur favellarono. Era quella, come mi dissero, una gallica donna dalla remota Sequana recentemente venuta, recando seco per tutta Italia le grazie non solamente e il fior dello spirito, ma celebre fatta per un epico suo poema e per tragedie eziandio; né le memorie di Roma antica da lei tanto riscuotere di maraviglia quant’ella da Roma moderna ne riscotea. Parvemi allora che dal trionfo di questa donna vendicati assai fossero i trionfati Galli, e che le romane vittorie per Cesare riportate o per altri non dovessero più vantarsi da’ suoi nepoti. Già più non mi fecero maraviglia, dopo ciò, moltissime novità. I britanni del mondo divisi, ed ultimi della terra, che in Roma oggi incontrai non sol liberi, ma potenti, e per l’amore dell’arti e per la cultura ancor delle lettere insigni, anzi pur mecenati dell’arti e degl’ingegni divenuti; i cimbri, i teutoni, ed i sicambri, già da noi riputati delle fiere più fieri e neppur meritevoli d’essere soggiogati, che sulla riva dell’Istro han trasportato l’imperio romano e del lor sangue eleggono da gran tempo il successore d’Augusto; gli estremi sciti, indomiti e vagabondi un tempo, vantar leggi e costumi e liberali studi, portandoli insino a Roma per ammaestrarla; e le accademie e i parnasi fiorenti tra tutte queste nazioni e sin ne’ climi gelati; questi prodigi mi persuasero che doveva dimenticarmi d’ogni memoria de’ giorni miei, né la mia patria né la mia Roma in mente avere mai più.


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Lettere Virgiliane - Lettere Inglesi e Mia Vita Letteraria
di Saverio Bettinelli
1758 pagine 205

   





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