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      Ma questo lusso medesimo italiano nuoce all’Italia. Pochi trovano delle corti, dei prìncipi, dei milordi, che gli adoprino. Restano in picciole città, e fan poco. Son costretti a lavorare alla giornata, o a far di capriccio. Ed ecco un popolo di mediocri e di sciocchi. Vedetene la chiara prova nei lor poeti, che sono tra tutti gli artisti in maggior numero: vanno a finire nelle Raccolte; questo è il lor premio, la loro gloria. Pochissimi arrivano al sublime di una cantata per qualche signore, che gli paga con l’onore di proteggerli e con qualche cena, ove tra la nobiltà si fanno deridere, come dice Luciano in quel suo bel quadro del corteggiare i grandi; pochissimi, all’onor di servire una truppa di comici con tante commedie per mese e tanti ducati per commedia; il resto si scarica nelle Raccolte. Che compassione insieme e che riso mi movea quest’usanza italiana, e solamente italiana! Mi pareva la poesia, massimamente a Venezia, un curioso mestiere, una nuova manifattura, un lanifizio. Mi son trovato agli sposalizi più d’una volta, ne ho veduti i preparativi e le feste più solenni. I poeti vi lavoravano al pari de’ falegnami, de’ pittori, degli stuccatori, e de’ macchinisti, col solo divario che aveano paga più discreta di tutti gli altri. Mi son preso piacere una volta di contare que’ componimenti in foglio volante, che addobbavano le botteghe, i palazzi, le strade. Sonetti in lingua veneziana, in paesana, in toscana; altri con la coda, altri no, canzoni d’ogni metro, capitoli, ecc.


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Lettere Virgiliane - Lettere Inglesi e Mia Vita Letteraria
di Saverio Bettinelli
1758 pagine 205

   





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