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      Per verità non sarebbe un castigo l'abbandonare quella fetida tana, ma il guajo si è che bisogna lasciarvi i mobili. Mio Dio, i mobili! Sì, sì, questa parola indica tanto la bella e preziosa suppellettile del ricco, quanto i vecchiumi e gli stracci del povero. Ci vorrebbero due nomi diversi per significare due cose diverse. I morbidi letti, gli specchi dorati, le intarsiature, i vasi del Giappone, i divani e le poltrone di velluto sono arnesi differenti dai grossolani pagliericci, dai rappezzati e smilzi materassi, dalle tavole greggie e dondolanti, dalle cassapanche rovinate, e dalle scranne di paglia dure e zoppicanti. La parola mobili pare alle volte uno scherno, quando non si voglia considerarla come la parola uomo, che esprime tanto il principe quanto il facchino. Ma non proponiamo inutili riforme, e seguitiamo a chiamar mobili quelli del ricco e quelli del povero indistintamente. Sarebbe piuttosto da impedire che il secondo non ne fosse molte volte spogliato, come il primo è sicuro di non esserlo mai. Bello, ma impossibile voto finchè vi saranno pigionali che non possono pagare, e padroni che vogliono essere pagati. Quello della casa screpolata e puntellata è il più feroce e inesorabile dei padroni. Ad ogni ricorrenza di Pasqua e San Michele vi sono mobili per suo conto sequestrati e venduti all'incanto. Così per suo conto vi sono poveretti che piangono, o sloggiano denudati delle cose più necessarie.
      Il pigionale anziano di questa casa, colui che ha veduto succedervi molti cambiamenti, colui che non è disturbato nel possesso di due stanze, perchè paga esattamente il suo fitto, è un uomo di sessant'anni soprannominato Tribolo, un vecchietto svelto, allegro, sorridente e garbato quanto mai.


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Tre racconti sentimentali
di Paolo Bettoni
Borroni e Scotti Milano
1855 pagine 106

   





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