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      Che abbiamo noi fatto al cielo per meritarci questa vita così dura e travagliosa? Che abbiamo non fatto agli uomini, perchè debbano insidiarci il solo bene posseduto, la virtù della nostra Cecilia, dell'angelo della nostra casa? La povera creatura si è ravveduta in tempo, ma chi mi assicura che una volta o l'altra non venga meno a' suoi buoni sentimenti, e alla confidenza che ho posta in sua madre? La miseria è consigliera di triste cose, e ci vorrebbe un santo per resistere sempre ai suoi suggerimenti. Ahimè; se avessi un giorno a veder piangere la mia Cecilia di un tardo ed inutile pentimento! Peggio ancora se la vedessi lieta e sfrontata nella colpa, compiacersi del guadagno che ne avrebbe ricavato. No, no, mio Dio, allontanate da me e da mia figlia questo flagello, che ci farebbe morire di crepacuore e di disperazione. Voi mi esaudirete, mio Dio, in riguardo dei tanti altri mali che sopportiamo da sì lungo tempo. Una voce secreta mi conforta a credere che la nostra Cecilia si conserverà buona e degna di noi. Ah ah, il signor Tribolo stava gozzovigliando forse coll'uomo che gli aveva ordinato una sì bella impresa. Egli voleva darmi da bere, e poi mettermi nel piattello la sua offerta abbondante. Grazie dell'una e dell'altra cosa. Se io fossi stato giovane, gli avrei pestato ben bene quella sua faccia da impostore. Quanto ai due talleri, mi dia tempo un mese, e li radunerò quand'anche dovessi limosinarli quattrino a quattrino stando sulla porta di una chiesa. Solo che non si attenti mai più di fare simili uffici presso Cecilia, altrimenti le forze mi basteranno ancora per dargli un ricordo di santa ragione.


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Tre racconti sentimentali
di Paolo Bettoni
Borroni e Scotti Milano
1855 pagine 106

   





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