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      Egli è perduto senza rimedio, come la preda che il serpente attortiglia nelle sue spire. Dio sa quale profitto avrà ricavato il contino, e quali divertimenti avrà gustati ne' suoi viaggi con un tale furfante che lo accompagnava! Tornato dunque in patria, come dissi, e vista la bella e graziosa cugina, egli ne restò incantato di ammirazione. Il cavaliere comprese subito il pericolo che il contino potesse innamorarsi seriamente di lei, e farla sua sposa. Ciò accadendo, si sarebbe cambiata la faccia delle cose, e lo scapolo disordinato avrebbe probabilmente preso la condotta di un savio marito. Questa idea spaventava il cavaliere, che vedeva così perduta la sua influenza e rovinati i suoi interessi. Bisognava dunque impedire questo matrimonio, e si pose all'opera con tutte le sue arti sopraffine. Vi era in Trento una donna famosa per le sue galanterie e civetterie, chiamata la Flora. Sebbene non fosse della prima gioventù, conservava ancora tanta bellezza e tanto brio da sedurre gli uomini ed allacciarli nelle sue reti. Il cavaliere era stato nel numero de' suoi amanti, e sussisteva ancora fra loro un certo legame che non saprei come qualificare. Era quell'abitudine di vedersi con indifferenza dopo gli amori dileguati, quella famigliarità ora satirica ed ora scherzosa di due tristi che si conoscono e si disprezzano a vicenda. Il cavaliere si concertò con lei, ed un giorno le condusse in casa il contino Federico, il quale morse all'amo e cadde nel trabocchetto. Sugli uomini viziosi e corrotti possono più, io credo, i vezzi artifiziosi d'una sirena, che le schiette attrattive d'una giovane innocente.


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Tre racconti sentimentali
di Paolo Bettoni
Borroni e Scotti Milano
1855 pagine 106

   





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