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      Alcuni rispondono affermativamente, giacchè il lavoro svaga i malati, li esercita in una ginnastica moderata, e torna loro profittevole nel senso, che può servire ad ammaestrarli in una professione igienica, come quella del giardiniere e dell'orticoltore, la quale, quando siano usciti dallo stabilimento, potrà essere sostituita a quella, che forse era stata una delle cause principali della loro malattia.
      Certamente lo scopo è lodevolissimo, e non si deve perderlo di vista, ma pare che nell'applicazione pratica s'incontrino ostacoli non lievi. L'operaio ricoverato nel sanatorio di solito vuol starvi in riposo, e date le idee, ond'egli è spesso imbevuto, pensa subito che lo si voglia sfruttare, e nella sua mente si delinea il concetto: se devo lavorare, meglio è che guadagni per me e per la mia famiglia. D'altra parte, non è facile trovare un lavoro conveniente a ciascuno, e i servizi ordinari dell'istituto non possono essere affidati a persone mal pratiche, e soggiornanti solo temporariamente in esso. In generale, quindi, dai malati non si richiede altro, se non che si rifacciano il letto, lavino la sputacchiera e si puliscano gli abiti e le scarpe - ammesso, s'intende, che il loro stato di salute lo consenta.
      Affidate queste mansioni ai malati, non è necessario che il personale di servizio di un sanatorio sia numeroso. Tutti i competenti, però, si accordano nel richiedere, che sia scelto con cura, ben trattato e ben pagato. Solo a questo modo lo si può ottenere costituito di persone abbastanza educate, che rispettino e facciano rispettare con convinzione e serietà il regolamento dell'istituto, e prestino un'opera zelante, intelligente ed amorevole.


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Contro la tubercolosi
di Giulio Bizzozero
Treves Milano
1899 pagine 134