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      Se illustre era il defunto, portavasi in prima nel foro, dove il figlio, o altro parente od amico pronunciava dalla tribuna un elogio del cittadino di cui piangevasi la perdita.
      Dopo ciò procedevasi al luogo del sepolcro o del rogo; che, per espressa disposizione di legge, era dal tempo delle Dodici Tavole in poi fuori della città, comechè, per privilegio accordato ad insigni personaggi, tuttora si facesse la sepoltura nell'interno di Roma.
      § 93. Nei primitivi tempi di Roma i cadaveri venivano deposti integri nel tumulo; ma, in seguito, s'introdusse la consuetudine di abbruciarli, a meno che si trattasse di infanti morti prima del settimo mese.
      Per ardere il cadavere, alzavasi una Pira in forma di ara o torre, con le legne secche e molto combustibili; queste non che il sovrapposto cadavere aspergevansi di preziosi liquori ed unguenti. I più prossimi parenti, ritraendo lo sguardo, appiccavano con faci le fiamme. Mentre queste divoravano la mortale spoglia, umano sangue intorno al rogo spargevasi, col quale si credea placare i mani del defunto. In origine s'immolavano a ciò poveri schiavi o prigionieri; poscia s'introdusse l'uso di adoprarvi gladiatori, i quali, dal nome di Bustus dato all'inceso rogo, dicevasi Bustuarii. Ustrina si chiamava il luogo ove cotal scena avveniva.
      Le ossa e le ceneri del trapassato raccoglievano in apposita urna i consanguinei, mischiandovi odori e fiori. Gli astanti d'acqua lustrale tre volte, a purificazione, venivano dal sacerdote cosparsi, ed un ultimo addio davano partendo agli amati avanzi: Æternum Vale: Nos te ordine, quo natura jusserit, cuncti sequemur.


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Manuale di antichità romane
di Gerolamo Boccardo
1861 pagine 60

   





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