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      Anche, in questo rispetto, i piú erano contenti che la vita lor faticosa, la preghiera loro continua, stesse avanti a Dio a compenso della vita distratta e peccaminosa dei laici e del clero. Ma non tutti ne erano contenti. Nel chiuso dei chiostri, l'ideale di Cristo e dell'opera sua si purificava e si elevava. Il concetto che ne suggeriva il cuore, era nudrito dalla mente colla meditazione e lo studio. E il monaco acquistava; dal rispetto, onde si sentiva circondato dai popoli, la convinzione di potere; ed osava volere. E metteva, una volta risoluto, nel proponimento suo una risolutezza non facilmente vincibile. La morte non lo spaventava più; l'allettava. Il martirio gli era segno, non, che egli avesse fallito la via, ma ch'egli avesse raggiunto la meta. Come il sangue dei martiri aveva inaffiate le radici prime del cristianesimo, così il suo inaffiava quelle della dottrina nuova ch'egli annunciava al mondo. Certo, ciò non era di tutti, anzi di pochi e non si dava in tutti i momenti della vita d'un Ordine, ma in alcuni solo. Quello però a cui bisogna aver l'occhio è questo: che se il monacato curvava gli spiriti dei pii di quelli che vi si addicevano, serviva in parecchi a saggiare la bontà dell'acciaio ond'erano fatti, e piú la lama ne resisteva e ne rimbalzava, e meglio feriva.
     
      III
     
      Colla qual digressione, come può parere, io non mi sono allontanato da Arnaldo, anzi credo d'avere mostrato, che educazione venisse ad un animo come il suo dalla maniera di vita, a cui egli si consacrò. Siccome non sappiamo in che etàdiventasse sacerdote o religioso, cosí non sappiamo neanche che maestri avesse o quali scuole frequentasse nella sua Brescia, e molto meno che ne frequentasse in altre città d'Italia, innanzi d'andare in Francia.


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Arnaldo da Brescia
di Ruggero Bonghi
pagine 61

   





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