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      Il 17 aprile del 1155 s'era fatto incoronare re in S. Michele di Pavia. Poi, per Piacenza, Bologna e Toscana, aveva cominciato a scendere a gran giornate verso Roma. Negli ultimi giorni di maggio era a S. Quirico nel Senese. Adriano, che non s'era ancora inteso con lui sui patti della venuta sua, era uscito di Roma, e s'era accostato verso i luoghi dond'egli giungeva. Il 17 di maggio era a Sutri; il 10 giugno a Viterbo; e di qui, appunto in quel giorno, gli mandò incontro a un castello, Tintinniano sull'Orcia, tre cardinali, per esplorarne l'animo, per fermare le condizioni, e in ispecie per chiedergli Arnaldo, e che lo consegnasse nelle lor mani. Nessuna domanda parve a Federico piú discreta e facile di quest'ultima. Appena egli l'ebbe udita, l'accolse; e mandati i suoi messi, ordinò che gli portassero davanti uno di quei visconti in casa di cui era Arnaldo. Ebbe il visconte tanto sgomento, che senza indugio mise Arnaldo nelle mani dei cardinali. I quali lo trassero seco a Viterbo: dove il Papa commise a Pietro, prefetto della città, ch'era seco, il farne giudizio. E fu presto fatto. Pietro lo condannò all'impiccagione: il cadavere bruciato: le ceneri sparse nel Tevere. Quando l'imperatore ebbe sentito la pena, n'ebbe pietà troppo tardi, secondo dice un suo poeta(22). Forse pensò ch'egli aveva troppo facilmente permesso alla Curia di levarsi dinanzi un cosí gran nemico; un giorno avrebbe potuto essere utile a lui.
      Non è certo che l'esecuzione della condanna seguisse in Roma; ma è certo che Arnaldo non si impaurí della morte.


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Arnaldo da Brescia
di Ruggero Bonghi
pagine 61

   





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