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      Egli negava alla Chiesa il diritto di possedere. Si badi, ciò non è il medesimo, che determinare i fini per i quali la Chiesa deve possedere, e gli usi ai quali deve volgere le sue ricchezze. Ciò Bernardo faceva assai bene nella sua lettera a Fulcone(28); e si può trovare ripetuto da scrittori molti e riputati santi. Ma Arnaldo addirittura affermava così illegittimo il possedere per parte di ecclesiastici, che né sacerdoti che avessero proprietà, né monaci che possedessero, si sarebbero potuti salvare. E rispondeva a questo concetto l'altro, che i laici non fossero obbligati a pagare le decime, sicché cadessero in peccato quelli che lo facessero. L'ordinamento voluto da lui, in questo rispetto, era: che la Chiesa si dovesse reggere su contribuzioni non già obbligatorie, ma volontarie per parte dei laici, senza proprietà né possessi propri. Si potrebbe facilmente scoprire su quali passi scritturali fondasse questa dottrina.
      Era una naturale conseguenza e fondata su tutto il diritto pubblico dei suoi tempi che la Chiesa, non avendo possessi, non potesse esercitare regalie; perdeva colla terra il diritto di reggerla. A quei tempi, ciascuna dignità ecclesiastica conferiva un fondo o, a dirla altrimenti, un principato; e il Pontefice non pretendeva, almeno da principio, se non questo solo che feudo suo fosse Roma, come Colonia, Magonza erano feudi degli arcivescovi loro. Il che appunto negava Arnaldo; che cioè i capi della Chiesa, in qualunque grado, dovessero e potessero legittimamente essere feudatari.


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Arnaldo da Brescia
di Ruggero Bonghi
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