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      Là dove non è vita pubblica, dove il sentimento nazionale è fiacco, non sarà mai industria potente. Una nazione tenuta bambina d'intelletto, cui ogni azione politica è vietata, ogni novità fatta sospetta e ciecamente contrastata, non può giungere ad alto segno di ricchezza e di potenza, quand'anche le sue leggi fossero buone, paternamente regolata la sua amministrazione".
      Così fornito il Cavour, si presentava alla vita pubblica, che egli stesso era stato uno dei più ostinati a voler introdotta pienamente nella sua patria. Sarebbe stato uomo certamente e deliberatamente costituzionale; ma lo Statuto l'avrebbe inteso non come una parola morta ed uno scopo raggiunto, ma come una parola di vita od un mezzo di progresso continuato ed ordinato a raggiungere i fini economici e politici del Piemonte. Se non che cotesti fini non credeva che il Piemonte avrebbe potuto raggiungerli se con esso non li avesse raggiunti l'Italia: anzi la libertà italiana gli pareva dovesse essere l'eredità lasciata dalla generazione nostra alle avvenire. Cosicchè questi fini, a' quali si sarebbe avviato con mezzi pratici, attinti alla considerazione stessa delle condizioni d'Italia e d'Europa, gli sarebbero parsi più legittimi d'ogni altro dritto che in Italia si volesse contrappor loro. La Costituente stessa italiana, che, nei termini e nei tempi in cui era proposta dal Montanelli, gli pareva un fantasma trasportato dalle piazze al dicastero, credeva però che non fosse impossibile, anzi necessaria ed utile, e presto o tardi si sarebbe dovute avere(14). Questi fini gli sarebbero, dunque, parsi il vero diritto, avanti a cui i diritti storici avrebbero dovuto cedere, se non ci si fossero potuti conformare.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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