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      Dalla qual fiacchezza ed esitazione sarebbe poco meno che risultato l'esautoramento del Piemonte nell'indirizzo dei destini di popoli, che non abbandonava nč prendeva con sč.
      E molto allora si gridava dai ministeriali contro il Cavour, l'ombra del cui nome e la memoria della cui amministrazione minacciavano tanto pių pronta rovina, quanto pių gli avvenimenti ingrossavano, al ministero Rattazzi. La paura di scendere dall'una parte, e la voglia di salire dall'altra furono, forse del pari, cagione che gli antichi legami si sciogliessero, e l'amicizia, durata parecchi anni, si raffreddasse. D'altronde, il pubblico, vedendo nessuna cosa risolversi all'esterno, ed ogni cosa poco meno che imbrogliata all'interno, cominciava, con le sue tante voci, nell'assenza dell'Assemblea, la cui troppo prorogata convocazione era una appunto delle accuse contro il Rattazzi, a gridare e chiamare il conte Cavour. Le ragioni che avevano costretto questo a lasciare il ministero, non gl'impedivano ora di ritornarci; giacchč l'iniziativa audace e franca del Farini nell'Emilia e del Ricasoli nella Toscana rimettevano l'Italia e il Cavour in grado di continuare il lor compito. E il Rattazzi quindi ebbe a dimettersi e il Re a richiamare il Cavour.
      Il quale non tardō a prender un partito netto e determinato. Temperato il malumore della Francia ed assicuratosi il suo beneplacito con la cessione di Savoia e Nizza, consigliō il Re ad accettare a dirittura i voti dei popoli di Toscana e dell'Emilia, ed a mutare cosė l'antico e piccolo regno ereditato da' padri suoi in un nuovo regno, giā grande oggi per sč e pių grande per le speranze avvenire.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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