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      Il conte Cavour tentò ogni modo, perchè la rovina della monarchia Borbonica non desse le provincie d'Italia meridionale in balìa del partito di cui Garibaldi si circondava; perchè in quella mutazione le forze natie del paese prevalessero e precedessero, affinchè l'Europa non prendesse appicco a sostenere, che quel moto prendesse vigore e principio al di fuori; perchè, accadendo la mutazione, il partito costituzionale e monarchico, che, come è più numeroso, se non meglio ordinato, in quella del mezzogiorno, avesse diritto a reggere laggiù come regge quassù, affinchè tra le due parti d'Italia non si introducesse un dissenso pericolosissimo; perchè, insomma, gli effetti dell'impresa eroica del Garibaldi fossero tutti benefici, e la nave non rischiasse di affondare quanto s'era così prossimi ad approdare.
      Il conte Cavour non si dovette quetare all'idea della dittatura del Garibaldi, se non quando la poca vivacità del paese, diminuita dall'aspettazione di Garibaldi, che avrebbe, esso solo, con minore incomodo di tutti, compiuto ogni cosa, e la nessuna speranza di condurre l'esercito borbonico a qualche partito risoluto, concorde e italiano, l'ebbero persuaso che e' non c'era modo di venire a capo della dinastia borbonica in Napoli, diverso da quello in cui vi s'era riuscito in Sicilia. Il ministro di Vittorio Emanuele, uomo tenace e flessibile, piegò adunque, aspettando e spiando una migliore occasione di rimettere nelle mani del governo il freno e l'indirizzo del moto italiano.
      Era un'ambiziosa voglia o un acuto discernimento quello che moveva il conte di Cavour a mettersi in grado di frenare da un lato, mentre agevolava dall'altro, i disegni del Garibaldi?


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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