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      L'audacia dà all'eroe un fascino magico, che il successo accresce. La riuscita par prova d'un intuito che vola dove il calcolo non arriva. Egli stesso se ne persuade, e nei suoi desideri s'infiamma. La sua frase, rotta e rapida, s'attaglia a percezioni nette e repentine, com'è disuguale a' ragionamenti. Il suo pensiero come il suo discorso, non isgorgano da una fonte che scorra di continuo, ma che ribolla, e spicci ad intervalli. Come accade, la sua frase l'innamora, e finisce col tenergli luogo d'ogni più lungo raziocinio; questo si ha tutto a disperdere e dileguare avanti al vigore di quella.
      Un uomo, in cui la forza della fantasia sovrabbonda, e il potere dell'influenza della propria persona soverchia, non può non avere qualche briciolo di vanità e qualche stimolo d'ambizione. Avanti a Vittorio Emanuele, che egli ama, ha tenuto nella sala del trono il cappello sul capo; e l'abito rosso e bigio, semplice e sdruscito, non prova che si disdegni un abito a galloni d'oro solo perchè troppo ricco. Il comandare gli piace; e non solo su' campi di battaglia, dove nessuno gliene contende l'abilità, ma nei governi, dove nessuno gliela concede. Il comando non l'intende se non assoluto, come solo può chi non usa, ragionando, cercare le varie difficoltà d'un partito, ma lo piglia e vi s'ostina, perchè il cuore e l'immaginativa glielo hanno scelto. Perciò, non solo ama essere egli il dittatore, nè, governando, saprebbe essere altro: ma ha sognato parecchie volte che gli Italiani avrebbero senz'altro a dare a Vittorio Emanuele la dittatura, se vogliono venir a capo della loro impresa.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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