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      Ma il maggior male era nelle capitali stesse; in queste tutti i malumori, diffusi per le provincie, prorompevano. Lì, la massa dei petenti gorgogliava: lì, le voglie indecenti si nascondevano a vicenda per esser troppe; lì, chi temeva di perdere e chi voleva acquistare - ed eran tutti - s'affollava e s'urtava. In questa miscela di interessi, di voglie, di smanie, i partiti gavazzavano e lavoravano. Ed i partiti eran tutti nemici; giacchè si componevano o di gente nemica a monarchia, e sopratutto al ministero che risedeva a Torino, ovvero di gente nemica a Casa Savoia e ripugnante all'unità italiana. In Napoli poi, i partiti trovavano il loro maggiore sussidio in una genìa violenta e procacciante, a cui su' principî del governo costituzionale di Francesco II era stata data la polizia nelle mani; e che adoperava l'influenza e il potere che gliene veniva, a commettere quei delitti che avrebbe dovuto sorvegliare; esigeva a suo profitto i dazi, tiranneggiava i venditori; e teneva più alto che le leggi naturali del commercio non richiedessero, il prezzo delle derrate. Questa genìa, numerosa ed organizzata fortemente, aveva cooperato a gittar giù il governo Borbonico, dalla cui polizia era frenata e vessata; ma temeva la venuta d'ogni qualunque regolare governo, giacchè da nessuno presumeva potersi aspettare indulgenza.
      Il governo del Re aveva a intendere questa natura di cose; e prendere un sistema sicuro e certo per venire a capo di stabilirsi. Aveva difficoltà sue proprie. In quel subbuglio scompigliato, il nome del Garibaldi, la cui purezza e lealtà d'animo non era quistionata mai, e i cui meriti verso le provincie meridionali non si potevano esagerare, era il solo che avesse potenza e raccogliesse attorno a sè credito e forza.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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