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      Nè più valsero a rimuovernelo conforti e preghiere di amici, nè laudi di critici benevoli. Ora, di certe amarezze e sdegni e suoni terribili che soverchiamente incupiscono, a quando a quando, le opere sue fatte di poi, non è forse da credersi che in qualche parte se ne possa accagionare quella prima impressione di dolore e d'ira, rimasta incancellabile nell'animo? Perciocchè ogni cosa passa quaggiù, non mai intera la memoria delle primissime sensazioni della fanciullezza e della adolescenza. Oh quanto ci dovrebbero qualche volta pensare i compaesani e concittadini di giovani d'ingegno, studiosi e ben promettenti di sè!
      E amarezze e sdegni e terribili suoni e colori soverchiamente cupi, quali non soglionsi avere a vent'anni, sono nel suo romanzo la Battaglia di Benevento, da lui dettato e pubblicato la prima volta in patria; dove, dopo laureatosi in Pisa e vinta a forza la propensione naturale che ad altre cose e ad altri studi lo traeva, erasi dato all'avvocatura con utile non piccolo suo e piacere grandissimo del padre, il quale sempre ne avea mostrato desiderio. Ma che libro egli era mai cotesto con cui il fiero giovine non pure sfogava la immensa, nobilissima passione di un'anima gigante, ma provava, a un tempo, non potere le ingratissime forensi quisquiglie spegnere nè tampoco sminuire la fiamma di amore ond'egli ardeva per le lettere e per la gloria?
      La Battaglia di Benevento è racconto, in stupenda prosa poetica, della calata di quel funestissimo a noi Carlo d'Angiò conte di Provenza e di quella ambiziosa sua moglie Beatrice, quarta delle figliuole di Raimondo Berlinghieri, e non ancora, come le maggiori sorelle, regina: i quali il pontefice Clemente IV, gelosissimo nemico e odiatore acerrimo della illustre casa di Svevia, e i baroni di Napoli traditori chiamarono in Italia nel 1264 a cignervi la corona di Sicilia in danno del re Manfredi, figliuolo di Federigo II. Il romanziere descrive con molto affetto la nobile intelligenza, l'indole veramente regale, le magnanime opere, i generosi conati, il valore infelice di Manfredi e la sua morte gloriosa a Benevento; ma, contro l'opinione stessa di Giambattista Niccolini, il quale dicono ne abbia italianamente restaurata per intero la fama nella sua storia della famiglia di Svevia, mantiene, sopra quel principe l'accusa di parricidio e fratricidio mossagli da storici forse mal prevenuti o indettati dai partigiani de' papi, de' quali egli fu il grande e costante nemico, giusta le tradizioni della sua casa e il cómpito di essa in Italia.


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Biografia e rivista critica delle opere di F.D. Guerrazzi
di Ferdinando Bosio
1869 pagine 96

   





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