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      Nell'Odissea troviamo la divinità fatta protettrice del debole e del disgraziato: il povero e l'infelice, anche se colpevoli, sono raccomandati al rispetto ed alla pietà del prossimo. Ipparco, figlio di Pisistrato, faceva incidere sulle pubbliche strade princìpi come questi: «Cammina nella via della giustizia; Non ingannare l'amico tuo».
      Sul teatro di Atene, cinquecento anni prima del cristianesimo, si udivano e si ammiravano massime che i Vangeli non hanno certamente sorpassate, e che per di più venivano esposte al pubblico in una forma ben più eletta che in quella Santa Scrittura, la quale doveva poi riuscire tanto indigesta allo stesso sant'Agostino.
      Vi si vedono proclamati i doveri dell'umanità al disopra di quelli della legge; in nome della carità vi si condanna la legge del taglione; in nome dell'umanità e della carità vi è raccomandato l'amore del prossimo, senza distinzione di condizioni sociali, e il più puro altruismo non legato a nessuna speranza di premio - altro difetto della morale cristiana; vi è proclamata l'eguaglianza morale degli uomini, anche degli schiavi; la carità vi è presentata come pura solo quando avviene in segreto; insomma non c'è virtù evangelica che il teatro greco non abbia conosciuta.
      E Socrate? Occorre forse parlarne? Non può essere certamente che per invertire le troppo famose parole di Rousseau, secondo il quale se la vita e la morte di Socrate sono quelle di un savio, la vita e la morte di Cristo sono quelle di un dio. Socrate non ha tremato né pianto davanti alla morte!


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Gesù Cristo non è mai esistito
di Emilio Bossi (Milesbo)
pagine 292

   





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