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      Ci spiegheremo con un paragone: quegli che volontariamente si diletta, si compiace d'un omicidio che a sua immaginazione gli presenta come affettivo, certo pecca mortalmente. Ma quegli che semplicemente pensa o parla d'un omicidio perpetrato o da perpetrarsi da altri non pecca perciò. Dicasi lo stesso circa le cose impudiche: la semplice idea di questo o quel piacere impudico, non è peccato in sè, come non è peccato il riflettere ad esso; il ricordarlo, prevederlo. Se fosse altrimenti, i medici, i teologi, i eonfessori, i predicatori, che su questa materia studiano o scrivono, parlano o discutono, necessarimente peccherebbero: il che nessuno ammette.
      Vi ha però questa differenza fra il pensiero d'un omicidio o d'altra consimile cosa cattiva e il pensiero d'una cosa impudica, che, cioè, quest'ultimo è sempre pericoloso in causa della nostra naturale concupiscenza; non è così dell'altro, perchè in noi non esiste una naturale propensione verso di esso. Per ciò, è peccato veniale, o mortale secondo il pericolo, l'immaginare cose oscene, a meno che ciò non sia scusato da qualche fine onesto.
      È ancora da notarsi la differenza che corre tra il sentire la dilettazione, e lo acconsentire ad essa. Il sentire è spesso una necessità, e può essere quindi non peccaminoso, ma l'acconsentire dipende sempre dalla volontà. Una cosa è ben diversa dall'altra.
      Molti, confondendo assieme senso o consenso, pensiero d'una cosa cattiva e dilettazione in una cosa cattiva, disordinano le loro idee e tormentansi cogli scrupoli.


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Venere ed Imene al tribunale della penitenza.
:Manuale dei confessori
di Jean Baptiste Bouvier
1885 pagine 191