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      II. Se l'uomo è decrepito e debole tanto da non poter compiere l'atto carnale, e non abbia speranza di poterlo compiere, peccherebbe mortalmente esigendo il debito conjugale, perchè sarebbe cosa contro natura; e la moglie per la stessa ragione peccherebbe mortalmente, rendendolo. Ma se l'uomo riuscisse di quando in quando a darsi all'atto conjugale, benchè spesso non riesca a consumarlo, la moglie può rendere il debito e può anche aver l'obbligo di renderlo, imperocchè, nel dubbio di un felice risultato, il marito non può privarsi del proprio diritto: al marito stesso in questo caso è permesso chiedere il debito conjugale, poichè può avere una ragionevole speranza di saper consumare l'atto carnale; e se avvenga ch'egli spanda il seme fuori della vagina della donna, si giudica essere avvenuta la cosa per accidente, ne gliela si può imputare a peccato. Ma ove nessuna speranza egli abbia di giungere alla consumazione dell'atto carnale, egli deve certamente astenersene sotto pena di peccato mortale. Così Sanchez, l. 19, disp. 17, n. 24, S. Liguori, l, 6, 954, dub. 2 e molti altri da essi citati.
      III. Se uno dei conjugi, richiedendo il debito, peccasse mortalmente in forza di una circostanza sua particolare, per esempio, perchè fece voto di castità, o perchè si propone uno scopo cattivo, — i teologi domandano se è permesso rendere a questo coniuge il debito. Certi teologi pensano essere peccato mortale rendere quì il debito conjugale, a meno che la cosa non sia scusata da un grave motivo; imperocchè, nel caso in questione, il conjuge che domanda, non ha diritto alcuno sul corpo dell'altro; ovvero, pel voto emesso o pel fine perverso che si propone, il suo atto non sarebbe che un atto cattivo: l'altro conjuge può quindi non voler assolutamente rendersi suo complice.


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Venere ed Imene al tribunale della penitenza.
:Manuale dei confessori
di Jean Baptiste Bouvier
1885 pagine 191

   





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