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      La denominazione di questo peccato viene da Onan, secondogenito del patriarca Giuda, il quale, morto il fratel suo Her senza figli, fu costretto a sposarne la vedova, di nome Thamar, affine di continuare la parentela del fratello. «Sapendo Onan che i figli nascituri non sarebbero considerati come suoi e porterebbero il nome del fratello, nè ciò egli volendo, accoppiavasi, sì, colla vedova del fratel suo, ma faceva in modo che il suo seme si versasse in terra» (Gen. 38, 9.). Nulla è oggi più frequente di questa detestabile abitudine fra i giovani sposi, che, non infrenati dal timore di Dio, sprezzano le parole dell'Apostolo: «sia il connubio, sopra ogni altro, onorevole; e il talamo, immacolato, (Cbr. 13, 4)» e vivono: «come il cavallo e il mulo, a cui manca la ragione (Sal. 31, 9).» Non domandando essi al matrimonio che le sole voluttà della carne, rifuggono dai suoi doveri e vogliono, o non aver figli, o averne solo un determinato numero; perciò si danno turpemente e senza freno alcuno alla libidine, evitando con arte le conseguenze dei loro accoppiamenti carnali.
      1. E' certo che l'uomo il quale così opera, qualunque ne sia la causa, pecca mortalmente, se non lo scusi la buona fede; e non può essere assolto in confessione, se non si dolga del peccato e si proponga sinceramente di non cader più in esso; non può essere messo in dubbio ch'egli operi in modo enorme contro lo scopo del matrimonio. «Fu per questo che il Signore percosse Onan, il quale commetteva un'azione detestabile.


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Venere ed Imene al tribunale della penitenza.
:Manuale dei confessori
di Jean Baptiste Bouvier
1885 pagine 191

   





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