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      Molti colà trassero come a spettacolo, come a luogo di sollazzo e di piacere. A tenere allegra e gaia quella numerosa brigata, vi si recaron pur anco da trecento tra commedianti e giullari, e settecento cortigiane. Anche Leonardo in sul finire del 1414 a Costanza si condusse, di dove scrisse tosto al Niccoli una lunga lettera, in cui gli dava un piacevole ragguaglio del suo viaggio che fu piuttosto disastroso, e gli ragionava dell'interno reggimento della città21. Rivide a Costanza l'amico Poggio Bracciolini, e per l'ultima volta il suo maestro Emmanuele Grisolora, il quale mandato dall'imperatore d'Oriente ad assistere al Concilio come uno dei rappresentanti della Chiesa greca, a Costanza cessava di vivere nell'aprile del seguente anno. Gran dolore recò ai dotti italiani la morte dell'uomo illustre; ma a niuno increbbe più che a Leonardo, che gli aveva conservato sempre particolare amore e riverenza.
     
      Nella dispersione della corte pontificia, occasionata dalla deposizione di Giovanni XXIII, Leonardo, per evitare i pericoli a cui erano esposte le persona addette alla sua corte, fu costretto a fuggire sconosciuto dalla città e cercare altrove un sicuro rifugio. Narra in questo proposito Vespasiano Fiorentino, che afferma di averlo udito dallo stesso Leonardo, che "stettono tre dì che non mangiavano se non pere ruggine, per non aver altro, e per non iscoprirsi, chè sarebbono stati presi.22" Leonardo vedendo le cose in anta confusione, risolse di abbandonare la corte, e se ne venne in Italia.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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