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      E come potevano riuscire efficaci, ed essere inspirati, e sollevare gli affetti del popolo scrivendo in una lingua che mai si udì tra le domestiche pareti, in una lingua che il figlio non intese risuonare sulle labbra della madre, nè l'amante su quelle dell'amata sua donna? Perciò nelle opere loro manca per lo più calore d'anima, spontaneità, libertà e vigore di eloquenza, novità d'idee, altezza di pensieri, pellegrinità di concetti; ma vi si vede un procedere fiacco e slombato, uno stile scolorato ed evanido, stiracchiamenti di concetti e di parole, un calore riflesso; e non già quell'erudizione che è vital nutrimento all'ingegno, ma l'altra, grave, pesante che lo affatica, non lo alimenta. All'incudine dell'antichità classica non seppero temperare i loro ingegni, rinsanguinare degli antichi e tenere nello studio dei medesimi quella sapiente misura che è necessaria anche verso i migliori, più lodati e famosi scrittori. Dell'antichità conservarono e corressero i monumenti immortali, ebbero delle sue leggi, de' suoi costumi, delle usanze, della religione e della lingua l'intera conoscenza; ma un tanto ricco acquisto si rimase nelle loro mani infecondo, perchè dallo studio degli antichi non seppero cogliere il vero frutto. Le cognizioni varie e molteplici, che per via di lunghe e assidue cure erano venuti acquistando, non che fecondare, oscurarono e intorpidirono i loro ingegni. Il che derivò in gran parte dal non avere saputo interrogare gli antichi, trarne quelle risposte che da essi ricavarono quanti si misero addentro alle parti più intime delle opere loro, e cercarvi il segreto che Dante, il Petrarca e il Boccaccio vi scoprirono nell'età precedente, e in quella che venne appresso il Machiavelli.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





Dante Petrarca Boccaccio Machiavelli