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      Fu una gran crisi, ma forse inevitabile, seguita, come tutte le grandi mutazioni, da beni e mali inestimabili. L'aver fatto rivivere tutta la poesia, l'eloquenza, la filosofia e la storia dei Romani e dei Greci, ricondotti gl'ingegni a nutrirsi alle pure fonti dell'antichità classica, l'avere posti dinanzi agli occhi della nuova generazione quegli esemplari stupendi perchè servissero di stimolo e d'incitamento a studiarne e ad imitarne le immortali bellezze, niuno vorrà affermare che non fosse opera sommamente utile, da cui doveva venirne grande e inestimabile benefizio alle lettere italiane e alla cultura in generale; tanto più dove s'intenda che tradizionale è il sapere nostro, il cui tesoro principale consiste nell'eredità conservata dai nostri maggiori, che a noi corre il debito di accrescere e far degnamente fruttificare. D'altra parte, neanco può negarsi che questo ritorno all'antichità, e il desiderio quasi universale di correre le vie già percorse dagli antichi e di risuscitarne le forme, quanto giovò al sapere in generale, altrettanto nocque allo spirito patrio, alla lingua, alla letteratura nazionale e agl'ingegni, i quali in quell'epoca d'imitazione servile vennero perdendo di originalità e rimettendo del natio vigore.
     
      Ma questi mali e danni non bisogna esagerare; imperciocchè se in parte veri, non ne viene per ciò che di essi sieno da accusarne gli eruditi. Che se non può negarsi la povertà evidente a cui vennero allora le nostre lettere, e il funesto ritardo a cui socciacque la lingua volgare, sarebbe ingiustizia il rovesciarne tutta la colpa sugli eruditi.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





Romani Greci