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      Scrisse altresì le vite di Aristotele e di Cicerone; tradusse da Plutarco quelle di Pirro, di Paolo Emilio, di Tiberio e Caio Gracchi, e da altri scrittori quelle di Q. Sertorio, di Catone Uticense e di Demostene.
     
      Nè chiuderò questi brevi cenni senza toccare di alcune opinioni piuttosto singolari che vere professate dall'Aretino. Il quale affermava, tra l'altre cose, e lusingavasi di dimostrare che la lingua italiana è antica al pari della latina; che amendue al tempo stesso erano usate in Roma, la prima dal rozzo popolo nei famigliari ragionamenti, la seconda dai dotti, scrivendo e parlando nelle pubbliche assemblee63. Tale opinione incontrò opposizione anche per parte di un quasi suo contemporaneo, Biondo da Forlì; il quale nel libro De locutione latina combattè vivamente la ipotesi di una lingua volgare parlata diversa dalla scritta e coeva alla favella di Cicerone e di Virgilio, e sostenne l'unicità dei linguaggio letterario e plebeo. Un illustre scrittore vivente discorrendo di tale opinione del Bruni, opportunamente osservò, che "il Tiraboschi chiamò frivole le ragioni di coloro che abbracciarono questo sentimento, e ogni filosofo gli farà plauso, e non invidierà questo sogno agli eruditi64." Fra quelli che più vivamente la sostennero fu poi il Cardinal Bembo.
     
      Similmente l'Aretino si sdegna contro il Boccaccio, perchè scrivendo la Vita di Dante, lungamente dell'amore di lui per Beatrice favellasse, di maniera che quella Vita, al dire di lui, tutta d'amore, di sospiri e di cocenti lagrime, è piena65. Ma egli nel muovere un tale rimprovero al Boccaccio, non avvertì come nella vita di certi uomini anche gli amori possono avere una grandissima importanza, avvegnachè sovente giovino a dar lume all'altre parti, che altrimenti rimarrebbero oscure e inesplicabili.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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