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      La battaglia è cosa commune, e ogni pruova che se ne fa, è molto dubbiosa: le genti de' nemici sono tali, che nessuno uomo savio le sprezzerebbe. Eglino avranno le terre e le vettovaglie vicine; combatteranno e riposerannosi a loro posta: i nostri nè terre nè mura avranno per loro refugio, e la provvisione delle vettuaglie e la cura de' cariaggi darà loro grande difficoltà; e dì e notte staranno in pensiero di qualche insulto de' nimici, in tal modo che, quando fossero bene di maggiore virtù, nientedimeno questi tanti disavvantaggi li metteranno in grande confusione. Chi è adunque quello tanto audace, che vedendo in brieve tempo di potere disfare il nimico, piuttosto accelerando voglia dubbiosi pericoli, che indugiando la vittoria certa conseguitare? Oltre alle predette cose è da considerare, che i nemici, prendendo noi il cammino di Montalcino, potrebbero volgere tutte le genti verso Firenze. E a questo modo lasceremo a loro discrezione il contado e la città spogliata di ogni ajuto e difesa; e noi di poi torneremo a soccorrere le cose nostre, quando fossero arse le ville e predato il paese. E' mi potrebbe essere detto
      , che sarebbe cosa più degna del popolo fiorentino passare colle genti nelle terre de' nimici. A me pare, che questa state si sia fatto assai, avendo guasto il contado loro, preso delle loro castella, posto i campi sotto le mura di Siena, e più volte usciti in battaglia a provocarli alla zuffa, e nessuno di loro essere uscito fuori a far pruova co' nostri. Finalmente, io sono di quelli, che la dignità di questa cosa pongono nella vittoria: e dico, che la vittoria, non tanto la celerità quanto lo indugio, nè tanto l'andare a casa i nemici, quanto guardare i suoi confini, ce l'hanno a fare acquistare.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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