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      Chiamato adunque Arrigo da' Romani e condotto a Roma, di volontà del popolo, gli fu data la potestà del senato. Donde seguì, che avendo lui pacificata la terra, e parendogli di ragione avere acquistato quello dominio, e governandolo senza alcuno riguardo del sommo pontefice, subitamente venne in sospetto alla santità sua e al re Carlo. Per questa cagione, la pratica del reame di Sardegna si lasciò indietro: e quella quantità di pecunia che Arrigo aveva servita al re Carlo, quando la domandò, gli fu negata, acciocchè non avesse maggiore facoltà di nuocere. Da prima aveva Arrigo la parte contraria al re Carlo e al sommo pontefice nella città di Roma favorita: e nientedimeno sotto specie di equità l'una parte e l'altra con grande simulazione aveva tenuta dentro. Ma poi che s'avvide del sospetto del papa e del re Carlo, cominciò a sollecitare occultamente i Pisani e Sanesi e gli altri della parte ghibellina. Mandò ancora a Corradino a offerirgli, che se venisse avanti, gli darebbe ogni suo favore e di suo fratello, e in ultimo gli metterebbe nelle mani la città di Roma: e di queste due cose i nimici ne facevano grande conto. Per seguire adunque queste cose, Arrigo mandò in Affrica a Federico suo fratello uno napoletano chiamato Corrado Capizio, il quale era stato cacciato del reame, e ordinò che passasse in Barberia con una nave di Pisani: e significò al fratello che, posto da parte ogni altra cura, venisse in Sicilia a fare in quella isola quanto movimento e' poteva. Ordinò ancora, ch'egli avesse lettere da Corradino a quegli popoli di Sicilia e a loro amici antichi, per fare in sulla prima giunta maggiore novità.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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