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      Perocchè Filippo, seguitando i nimici, s'era fermo colle bandiere dirimpetto alla fortezza, e la sua gente d'arme, essendo sparsa a predare la terra, avevano quasi lasciato il capitano senza compagnia. I nimici adunque presero animo d'uscire fuori con tanto émpito, che poco mancò che non pigliassero il capitano e le bandiere. E non fu la notte la cosa in maggiore pericolo in alcuno luogo che in quello: perocchè ogni volta che eglino avessero vinto quegli pochi insieme col capitano, facilmente superavano gli altri che erano sparsi per la terra occupati alla preda: ma per singolare costanza del capitano fu sostenuta la forza de' nimici. E già appariva l'aurora, e le genti d'arme, inteso il pericolo, ritornarono alle bandiere: il perchè, perduta ogni speranza, quegli di Castruccio abbandonarono la fortezza, e prestamente se ne fuggirono. Tutta la terra fu messa a saccomanno senza fare eccezione di parte amica o inimica: e nientedimeno furono riguardate le persone de' terrazzani.
     
      Dopo questo, Filippo, composte le cose come si poteva, il decimo dì poi tornò a Firenze, e fu ricevuto con tanto onore, che la sua entrata fu simile a uno trionfo. Le compagnie gli andarono incontro co' gonfaloni, e similmente il magistrato e tutti gli altri a gara si fecero innanzi a fargli onore. Ma Castruccio, poi che ebbe la novella della perdita di Pistoja, che per la via di mare gli fu portata in tre dì, se n'andò a Lodovico, dolendosi gravemente, che vedendo lui i suoi pericoli, contra sua volontà l'aveva tirato a Roma.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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