A Firenze gli animi di molti erano già inclinati alla pace: perocchè e' riputavano avere satisfatto alla dignità loro per la vittoria poco innanzi avuta, e pel numero de' cittadini pisani condotti prigioni al cospetto del popolo, e per avere più volte guasto il loro contado. E oltra queste cose era aggiunta una disperazione per la discordia delle genti. Era nato ancora sospetto di non piccola stima, che spaventava gli uomini prudenti, dubitando che i Pisani, trovandosi in tanta disperazione delle cose loro, non dessero la città e ogni loro cosa a messer Bernabò, signore potente e cupido di cose nuove, il quale si vedeva, che molto innanzi cercava d'entrare in Toscana. Così si cominciò colloquio della pace, e già prestavano orecchi alle esortazioni del sommo pontefice, il quale per suoi oratori ne confortava. Finalmente per opera della sua santità gli ambasciadori pisani vennero a Pescia: e cominciarono in quel luogo a praticare la pace cogli oratori fiorentini.
     
      In questo tempo che a Pescia si trattava l'accordo, Giovanni Agnello cittadino pisano, favorito dalla setta, prese il dominio della città. E perchè egli era degl'intimi amici di messer Bernabò, e poco innanzi era tornato da lui, non si dubitava, che per sua opera e consiglio non si fusse condotta questa opera, acciocchè la città di Pisa, turbata in quella forma, venisse alle sue mani. Questa novità fu cagione di venire presto alla conclusione della pace. I capitoli furono molti e onorevoli pel popolo fiorentino: perocchè Pietrabuona, donde era nata l'origine della guerra, fu data a' Fiorentini, e altre castella de' Pisani di patto furono gittate in terra, e tutti i privilegi e immunità furono restituiti di patto alla nazione nostra.