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      Gli ambasciadori adunque si partirono con questa risposta.
     
      Carlo in questo mezzo era venuto a Rimino, e parea che avesse preso indignazione della risposta data a' suoi imbasciadori. La qual cosa essendo significata a Firenze, per mitigare l'animo suo, vi furono mandati due oratori: Filippo di Cionetto e Guccio di Dino, i quali portarono a Carlo certi doni e offersongli liberalmente quindicimila fiorini in nome della repubblica. Costoro essendo giunti a Rimini, e manifestato i doni e la quantità della pecunia la quale voleano presentare, Carlo non volle ricevere i doni: e alla parte del danajo rispose, che non resterebbe contento a centomila fiorini d'oro. Questo rifiuto de' presenti turbò molto gli animi di coloro che in quel tempo reggevano la repubblica. E poco di poi gli Aretini accrebbono il sospetto, i quali chiamavano Carlo in Toscana, per dargli il dominio della città. Delle quali cose, acciocchè se n'abbia più piena cognizione, ci faremo alquanto più innanzi a darne notizia.
     
      Cacciato che fu il duca d'Atene, il quale avea tenuto il dominio non solo di Firenze ma ancora d'Arezzo, gli Aretini ridotti in libertà elessero sessanta cittadini, pel consiglio de' quali si governava la repubblica. Questi furono uomini degni, e in quella città di ricchezze e sapienza principali, e sotto il loro governo la terra lungo tempo si riposò. In fine, dopo molti anni, essendo morti di quegli vecchi e i giovani succeduti in luogo de' padri, sopravennero sedizioni e discordie, le quali turbarono in tal modo l'union loro, che non prima fu posto fine alle contese, che cacciaron l'un l'altro: e per la loro divisione si levò su la nobilità, e accostandosi a una delle parti, col gran favore della infima moltitudine, si condusse in luogo che quasi signoreggiava la città. Costoro chiamarono Carlo, e dettongli il dominio della terra.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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