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      Perocchè i nimici avevano fatto ribellare alcune castella del contado d'Arezzo, e finalmente la fortezza di Battifolle presso alla terra a tre miglia avevano presa per trattato: perocchè, essendo il tempo di mietere, i terrazzani, attenti a fare le loro ricolte, erano usciti del castello sanza alcuno riservo. In quel mezzo uno prete, invitato a desinare il castellano della fortezza, lo ritenne appresso di sè, e entrò nella torre della rôcca, che era molto alta e forte; e subitamente chiamati i nimici, dette nelle loro mani la fortezza e il castello. I terrazzani furono tutti presi, e i loro beni furono messi in preda. Stando adunque i nimici in questo castello, e scorrendo dì e notte insino presso alle mura d'Arezzo, condussero la città a grande pericolo. Contro allo impeto di costoro era principale rimedio, che i cittadini aretini combattevano per la difesa della terra non altrimenti che per la vita e proprio sangue: perocchè, essendo capitano de' nimici il nipote di Saccone, il padre del quale e l'avolo era stato capo di parte ghibellina in quello d'Arezzo, pareva loro, che non tanto lo stato de' Fiorentini quanto la concorrenza delle parti fussi quella che con ogni ardore d'animo si contendessi. E pertanto mettevano ogni diligenza di guardare la terra e provvedere sagacemente a ogni cosa. Avevano tolte l'armi a tutti i ghibellini, e non consentivano che alcuno di loro uscissi di casa se non il dì. In questo modo fu conservata da grande pericolo quella città e quasi tratta dalle mani de' nimici.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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