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      Finalmente fu risposto allo ambasciadore in questa forma: se i Pisani e Gherardo vogliono entrare nella confederazione e amicizia nostra, saranno ricevuti con buono animo, e gli ajuti della città saranno presti e pronti a' loro bisogni, non solamente di secento cavalli e ducento fanti, ma ancora di tutte le genti e di tutte le forze de' Fiorentini: al presente obbligarsi di pagare la spesa di cavalli e fanti con espressi patti, questa era cosa aliena dalla degnità del popolo fiorentino, il quale non è consueto comperare l'amicizie con prezzo, ma colla fede, co' beneficii meritarle. E in questo modo rimase indrieto la pratica de' Pisani.
     
      L'anno di poi, che fu nel 1399, quelle medesime contese pel Casentino e le medesime querele e suspizioni erano alla città: perocchè il duca Giovan Galeazzo, volgendosi alle cose di Toscana con tanto sforzo quanto per alcuno tempo aveva fatto innanzi, deliberò riducere Pisa nella potestà sua, e poco di poi mise a effetto questo suo pensiero: perocchè Gherardo d'Appiano non pareva fussi sufficiente a sostenere quel peso, e molti Pisani temevano che non si volgessi alla via de' Fiorentini. Mosso adunque da questa occasione il duca Giovan Galeazzo, fece pensiero di prendere Pisa. Il perchè, mandato maggiore numero di gente in Toscana, per alcuni mezzani ora promettendo, e ora mostrando i pericoli, condusse questa cosa in luogo, che Gherardo fu contento, presa da lui certa somma di pecunia, lasciargli Pisa, e ritenersi solamente Piombino e l'Elba.
     
      In questo modo fatto signor di Pisa, ogni giorno dava più spavento a' Fiorentini.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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