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      Undecimo, che gli aristotelici, platonici e altri sofisti non han conosciuta la sustanza de le cose; e si mostra chiaro che ne le cose naturali quanto chiamano sustanza, oltre la materia, tutto è purissimo accidente; e che da la cognizion de la vera forma s’inferisce la vera notizia di quel che sia vita e di quel che sia morte; e, spento a fatto il terror vano e puerile di questa, si conosce una parte de la felicità che apporta la nostra contemplazione, secondo i fondamenti de la nostra filosofia: atteso che lei toglie il fosco velo del pazzo sentimento circa l’Orcoetavaro Caronte, onde il piú dolce de la nostra vita ne si rape et avelena. Duodecimo, si distingue la forma, non secondo la raggion sustanziale per cui è una; ma secondo gli atti e gli essercizii de le facultose potenze e gradi specifici de lo ente che viene a produre. Terzodecimo, si conchiude la vera raggion definitiva del principio formale: come la forma sia specie perfetta, distinta nella materia, secondo le accidentali disposizioni dependenti da la forma materiale, come da quella che consiste in diversi gradi e disposizioni de le attive e passive qualitadi. Si vede come sia variabile, come invariabile; come definisce e termina la materia, come è definita e terminata da quella. Ultimo, si mostra con certa similitudine accomodata al senso volgare, qualmente questa forma, quest’anima può esser tutta in tutto e qualsivoglia parte del tutto.
     
      Argomento del terzo dialogo.
     
      Nel terzo dialogo (dopo che nel primo è discorso circa la forma, la quale ha piú raggion di causa che di principio) si procede alla considerazion de la materia, la quale è stimata aver piú raggion di principio et elemento che di causa: dove, lasciando da canto gli preludii che sono nel principio del dialogo, prima si mostra che non fu pazzo nel suo grado David de Dinanto in prendere la materia come cosa eccellentissima e divina.


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De la causa principio et uno
di Giordano Bruno
pagine 135

   





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