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      Secondo, come con diverse vie di filosofare possono prendersi diverse raggioni di materia, benché veramente sia una prima e absoluta; perché con diversi gradi si verifica et è ascosa sotto diverse specie cotali, diversi la possono prendere diversamente secondo quelle raggioni che sono appropriate a sé; non altrimente che il numero che è preso dall’aritmetrico pura e semplicemente, è preso dal musico armonicamente, tipicamente dal cabalista, e da altri pazzi e altri savii altrimente suggetto. Terzo, si dechiara il significato per il nome materia per la differenza e similitudine che è tra il suggetto naturale e arteficiale. Quarto, si propone come denno essere ispediti gli pertinaci, e sin quanto siamo ubligati di rispondere e disputare. Quinto, dalla vera raggion de la materia s’inferisce che nulla forma sustanziale perde l’essere; e fortemente si convence, che gli peripatetici e altri filosofi da volgo, benché nominano forma sustanziale, non hanno conosciuta altra sustanza che la materia. Sesto, si conchiude un principio formale constante, come è conosciuto un constante principio materiale; e che con la diversità de disposizioni, che son nella materia, il principio formale si trasporta alla moltiforme figurazione de diverse specie e individui; e si mostra onde sia avenuto che alcuni, allevati nella scuola peripatetica, non hanno voluto conoscere per sustanza altro che la materia. Settimo, come sia necessario che la raggione distingua la materia da la forma, la potenza da l’atto; e si replica quello che secondariamente si disse: come il suggetto e principio di cose naturali per diversi modi di filosofare può essere, senza incorrere calunnia, diversamente preso; ma piú utilmente secondo modi naturali e magici, piú variamente secondo matematici e razionali; massime se questi talmente fanno alla regola et essercizio della raggione, che per essi al fine non si pone in atto cosa degna e non si riporta qualche frutto di prattica, senza cui sarebbe stimata vana ogni contemplazione.


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De la causa principio et uno
di Giordano Bruno
pagine 135