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      Teofilo. Cossí credo ancor io. Credo che abbiate compreso quel che voglio dire.
      Dicsono Arelio. Assai bene, io mi penso. Di sorte che dal vostro dire inferisco che, quantunque non lasciamo montar la materia sopra le cose naturali e fermiamo il piede su la sua comune definizione che apporta la piú volgare filosofia, trovaremo pure che la ritegna meglior prorogativa che quella riconosca; la quale al fine non li dona altro che la raggione de l’esser soggetto di forme e di potenza receptiva di forme naturali senza nome, senza definizione, senza termino alcuno, perché senza ogni attualità. Il che parve difficile ad alcuni cucullati, i quali, non volendo accusare ma iscusar questa dottrina, dicono aver solo l’atto entitativo, cioè differente da quello che non è semplicemente, e che non ha essere alcuno nella natura, come qualche chimera o cosa che si finga; perché questa materia in fine ha l’essere, e le basta questo, cossí, senza modo e dignità; la quale depende da l’attualità che è nulla. Ma voi dimandareste raggione ad Aristotele: - Perché vuoi tu, o principe di Peripatetici, piú tosto che la materia sia nulla per aver nullo atto, che sia tutto, per aver tutti gli atti, o l’abbia confusi o confusissimi, come ti piace? Non sei tu quello che, sempre parlando del novo essere delle forme nella materia o della generazione de le cose, dici le forme procedere e sgombrare da l’interno de la materia, e mai fuste udito dire che per opera d’efficiente vengano da l’esterno, ma che quello le riscuota da dentro?


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De la causa principio et uno
di Giordano Bruno
pagine 135

   





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