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      Dicsono Arelio. Sí che questo mondo, questo ente, vero, universo, infinito, inmenso, in ogni sua parte è tutto, tanto che lui è lo istesso ubique. Laonde ciò che è ne l’universo, al riguardo de l’universo (sia che si vuole a rispetto de li altri particolari corpi), è per tutto secondo il modo della sua capacità; perché è sopra, è sotto, infra, destro, sinistro, e secondo tutte differenze locali, perché in tutto lo infinito son tutte queste differenze e nulla di queste. Ogni cosa che prendemo ne l’universo, perché ha in sé quello che è tutto per tutto, comprende in suo modo tutta l’anima del mondo (benché non totalmente, come già abbiamo detto); la quale è tutta in qualsivoglia parte di quello. Però, come lo atto è uno, e fa uno essere, ovunque lo sia, cossí nel mondo non è da credere che sia pluralità di sustanza e di quello che veramente è ente.
      Appresso so che avete come cosa manifesta che ciascuno di tutti questi mondi innumerabili, che noi veggiamo ne l’universo, non sono in quello tanto come in un luogo continente e come in uno intervallo e spacio, quanto come in uno comprensore, conservatore, motore, efficiente; il quale cossí tutto vien compreso da ciascuno di questi mondi, come l’anima tutta da ciascuna parte del medesimo. Però, benché un particolare mondo si muova verso e circa l’altro, come la terra al sole e circa il sole, nientedimeno al rispetto dell’universo nulla si muove verso né circa quello, ma in quello.
      Oltre, volete che sí come l’anima (anco secondo il dir comune) è in tutta la gran mole, a cui dà l’essere, e insieme insieme è individua, e per tanto medesimamente è in tutto e in qualsivoglia parte intieramente; cossí la essenza de l’universo è una nell’infinito ed in qualsivoglia cosa presa come membro di quello, sí che a fatto il tutto e ogni parte di quello viene ad esser uno secondo la sustanza; onde non essere inconvenientemente detto da Parmenide uno, infinito immobile, sia che si vuole della sua intenzione, la quale è incerta, riferita da non assai fidel relatore.


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De la causa principio et uno
di Giordano Bruno
pagine 135

   





Arelio Parmenide