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      Se posseggo, per esempio, 20 chili di caffè, io posso, sia consumarli per mio proprio uso, sia scambiarli con 20 metri di tela, o con un abito, o con 250 grammi di argento, se, invece di caffè, ho bisogno di una di queste 3 merci.
      Il valore di uso della merce è basato sulle qualità proprie della merce stessa, la quale è, da quelle sue qualità, destinata a soddisfare il tale, e non il tal altro bisogno nostro. Il valore d'uso dei 20 chili di caffè è basato sulle qualità che il caffè possiede; le quali qualità sono tali, che lo rendono atto a darci quella bevanda nota a tutti, ma non lo rendono capace a vestirci, né a servirci di materia per una camicia. È perciò che noi possiamo profittare del valore d'uso dei 20 chili di caffè, solamente se sentiamo bisogno di bere il caffè; ma se invece sentiamo il bisogno di una camicia, o di vestire un abito del valore d'uso dei 20 chili di caffè, non sappiamo che farne; o, per meglio dire, non sapremmo che farne, se accanto al valore d'uso, non vi fosse, nella merce, il valore di scambio. Noi infatti troviamo un altro che possiede un abito, ma che non ne ha bisogno, ed ha bisogno invece di caffè. Allora si fa subito uno scambio. Noi gli diamo i 20 chili di caffè ed egli ci dà l'abito.
      Ma succede che le merci, mentre differiscono tutte fra loro per le loro qualità diverse, cioè per il loro valore di uso, si possano poi tutte scambiare fra di loro in date proporzioni? Noi lo abbiamo già detto.
      Perché, accanto al valore di uso, trovasi nella merce il valore di scambio.


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Compendio del Capitale
di Carlo Cafiero
pagine 112