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      Ma che cosa è un giorno di lavoro? In ogni caso esso è minore di un giorno naturale. Di quanto? Il capitalista ha la sua propria maniera di vedere su questo limite necessario della giornata di lavoro. Il tempo nel quale l'operaio lavora è il tempo nel quale il capitalista consuma la forza lavoro che egli ha comprato dall'operaio. Se il salariato consuma per se medesimo il tempo che ha disponibile, egli ruba al capitalista. Il capitalista se ne appella dunque alla legge dello scambio delle merci. Egli cerca, come ogni altro compratore, di tirare dal valore d'uso della merce la più grossa parte possibile. Ma ecco che si leva la voce del lavoratore, e dice: "La merce che io ti ho venduto si distingue dalla turba di tutte le altre merci, perché il suo uso crea valore, e un valore più grande del suo costo stesso. È perciò che tu l'hai comprata. Ciò che a te sembra accrescimento di capitale, è per me eccedenza di lavoro. Tu ed io non conosciamo sul mercato che una legge, quella degli scambi delle merci. Il consumo della merce appartiene non al venditore che l'aliena, ma al compratore che l'acquista. L'uso della mia forza di lavoro ti appartiene dunque. Ma col prezzo quotidiano della sua vendita io devo ogni giorno poterla riprodurre e vendere di nuovo. Astrazione fatta dall'età e dalle altre cause naturali di deperimento, io devo essere tanto vigoroso e destro domani come oggi, per riprendere il mio lavoro con la medesima forza. Tu mi predichi costantemente il vangelo del risparmio, dell'astinenza e dell'economia.


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Compendio del Capitale
di Carlo Cafiero
pagine 112