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      Per evidenti segni appariva il loro consiglio essere trapelato ai Grigioni o per ispioni, genia non mai scarsa, o per qualche parola mal avvisata, o per quei piccoli segni che si notano quando si ha niente indizio d'una pratica. Onde, vigili in loro terrore, si erano recati in miglior guardia, avevano raddomandate dai Valtellinesi le chiavi di tutte le pubbliche fortificazioni ed armerie, rifrustavano con rigore alcune case, avevano posto su ciascun campanile chi, ad ogni primo rumore, toccasse a stormo, proibito l'uscir dalla valle e fin lo spedire lettere, tenuti ben d'occhio i caporioni, disposta una tela di cagnotti che ronzassero alle frontiere.
      E appunto in queste guardie cadde un corriere, spacciato a posta con lettere dal Robustelli al Paravicini. Ciò sapevano i congiurati, ignorando però come il corriere fosse stato destro abbastanza, da gettare nell'Adda i dispacci, che avrebbero messa in luce la trama.
      In così terribile intradue che fare? Fuggire, proponeva il Guicciardi, mentre lo scampare era a tempo, e serbarsi a migliore opportunità. Ma dissentivano fermamente gli altri due: essersi ormai là, dove se andasse al contrario avevano giocata ogni speranza. Già era in forza dei padroni un dei loro complici, che al domani doveva esaminarsi alla corda: e se i tormenti gli strappassero la verità? Poi se anche riuscisse a loro di fuggire, che ne sarebbe dei tanti, che per confidenza avevano preso parte con loro? Che della patria, abbandonata ad un offeso padrone? Già sono in punto d'armi molti satelliti, già il Paravicini mandò un gomitolo di 40 uomini i quali, dato che siano scarsi di numero, basteranno poco o assai a coprire il terziere inferiore.


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Il Sacro Macello di Valtellina
di Cesare Cantù
Sonzogno
1885 pagine 160

   





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